«Fare la pace con la pancia piena»
Dal libro “Ogni casa una storia”
Silvia e Teresa stanno andando a un pranzo organizzato nel condominio in via Carducci. Lo stabile è popolato da meno di 6 mesi, ma è già una bomba a orologeria: un agglomerato di situazioni a rischio, tra il pusher, il minorenne accusato di furto, l’immigrato con il permesso di soggiorno in scadenza e tanti bambini che urlano e che hanno già rotto le luci del cortile giocando a pallone.
ACER le ha contattate per correre ai ripari e in riunione è saltata fuori una proposta che in Italia mette sempre tutti d’accordo: mangiare. L’idea è venuta a Teresa mentre il collega di ACER elencava le famiglie presenti nello stabile: una nigeriana, una calabrese, una slovena, la coppia italo-dominicana, gli anziani sinti, il ragazzo latino-americano… «Sembra l’inizio di una barzelletta» aveva commentato Teresa. «La cosa più divertente è vedere i bambini che comunicano senza avere una lingua in comune.»
Prima ancora di varcare il portico d’ingresso, le due mediatrici sentono il vociare delle signore e il rumore di stoviglie: c’è del fermento nell’aria! Silvia incontra subito Moses e Pasquale, presi da una conversazione che pare seria e importante, ma quando il venezuelano la vede, apre le braccia e il sorriso. «Hola querida!» ma Pasquale li blocca subito. «No, aspetta! Moses mi sta spiegando la ricetta segreta del cocktail che ha fatto per l’aperitivo, non puoi sentire!» «Scusa, allora vado dai Rizzo: sono gli addetti ai dolci, avranno sicuramente bisogno di un’assaggiatrice» e si congeda con un occhiolino.
Alcuni uomini la fermano prima che raggiunga i Rizzo e la coinvolgono nell’allestimento dei tavoli, cosicché possa immergersi nell’atmosfera animata e annusare i profumi invitanti che provengono dalle cucine. In mezzo a quella frenesia, però, manca qualcuno. Lo sguardo corre in alto a sinistra, al balcone del primo piano: da lì, Tula assiste curiosa alla preparazione.
«Dai Tula, scendi!»
«Arrivo tra un po’…»
«Dai, abbiamo bisogno anche di te!»
«Tula! Ikiwa kweli lazima uje hapa, ole wako ukivunja chochote, au utanisaidia kusafisha tiles zote za nyumbani!» (trad: “Se proprio devi venire qui, guai a te se rompi qualcosa, oppure mi aiuterai a pulire tutte le piastrelle di casa” in lingua Swahili).
La nonna di Tula, capofamiglia dei Muhammadu, non la fa mai uscire con gli altri bambini per paura che si cacci in qualche guaio, mentre ora la sta spronando a stare in mezzo agli altri. Almeno così crede Silvia.
Mentre serve i vicini, la signora anziana controlla che non manchi nulla: ha apparecchiato la tavola nei minimi particolari, è impeccabile e colorata, come del resto la loro casa, la più pulita e caratteristica di tutto il condominio.
Silvia incalza la bambina: «Tula, facci da guida enogastronomica! Raccontaci i piatti della tua famiglia».
«Questo si chiama Jollof, ci sono riso, pomodoro, pepe, carote, cipolle, gamberi. Si mangia con il…»
«Platano fritto!» interrompe un accento siciliano. Giuseppe corre ad affondare la mano nella ciotola verde. La sua parlata racconta solo mezza verità: l’altra la gridano i suoi capelli ricci e i suoi profondi occhi scuri.
«Mi piace tantissimo» commenta con la bocca piena «lo mangio quando vado a trovare i miei parenti in Repubblica Dominicana.»
«La tua famiglia, invece, cosa ha cucinato?»
«La cassata siciliana. La mangio quando vado a trovare i parenti in Sicilia.»
Gli occhi di Tula si illuminano: «Io so dire: A megghiu parola è chidda che non si dice».
«Ca ‘un si dici! Ti insegno un altro proverbio, se tu mi insegni qualcosa nella tua lingua.»
Tula non conosceva ancora nessuno dei bambini del palazzo e per questo Silvia e Teresa si erano interrogate più volte su come intervenire: chi l’avrebbe detto che sarebbe bastato un platano fritto. Silvia si allontana, lasciandoli alla loro conversazione. Mentre cerca la sua compagna, le torna in mente quello che le aveva detto: è vero, i bambini hanno la capacità di capirsi senza dire nulla, ma quando parlano è l’italiano a unirli.
«Oh, ma va là! Ma sei un esperto!» la voce squillante di Teresa è la sua bussola, la ritrova in una discussione animata, con una piadina stretta nella mano.
«Capito quanto è semplice? Non vale la pena di chiamare l’elettrauto.»
«Silvia, Franco mi sta spiegando come entrare in macchina anche se ho lasciato le chiavi dentro! Ti ricordi che mi è già successo?»
«Sì, ricordo. Ovviamente queste sono vecchie reminiscenze di cose che non fai più, vero Franco?»
«No no, non le faccio più, però vedi che tutto torna utile?» e giù a ridere!
Le bocche si riempiono e le persone si riuniscono intorno al cibo. Dopo pranzo i ragazzini del palazzo intrattengono i più piccoli con dei giochi di gruppo, lasciando gli adulti a chiacchierare: i distruttori di luci oggi sono la spalla dei più grandi. La paura di interagire con gli altri sta svanendo, e lascia spazio all’accettazione reciproca e ad una nuova consapevolezza: qui sono tutti nuovi e stanno creando casa, farlo insieme è più semplice e più bello.
Scritto da Maria Rivola, pubblicato nel libro “Ogni casa una storia”
Edito da Fratelli è Possibile e Acer Rimini dicembre/2023